Quattro Figlie: trailer italiano del film di Kaouther Ben Hania ispirato ad una storia vera (Al cinema dal 27 giugno)
Al cinema con Arthouse e Unipol Biografilm Collection, il nuovo film di Kaouther Ben Hania, un racconto al femminile che vede al centro una madre e il rapporto con le sue figlie.
Dopo la candidatura all’Oscar per il Miglior documentario, tre premi al Festival di Cannes, numerosi riconoscimenti tra cui il premio come miglior documentario ai César e agli Spirit Award e l’anteprima alla XX edizione di Biografilm (sezione Beyond Fiction – Oltre la finzione), a partire dal 27 giugno 2024 nei cinema d’Italia con Arthouse in collaborazione con Unipol Biografilm Collection il docu-film Quattro Figlie diretto da Kaouther Ben Hania (La bella e le bestie – Un certain regard 2017; L’homme qui a vendu sa peau – Selezione ufficiale Oscar 2021). Il film sarà distribuito in versione originale sottotitolata.
“Quattro Figlie” è un racconto al femminile che vede al centro una madre e il rapporto con le sue figlie. È la storia di Olfa Hamrouni, una vicenda passata alle cronache e diventata molto nota in Tunisia dopo lo spazio che gli è stato dedicato in molti programmi radiofonici e televisivi dove la stessa Olfa è stata ospite. La vita di Olfa, madre imperfetta ma tenace, viene travolta quando due delle sue quattro figlie scompaiono; si radicalizzano, fuggono in Libia e si uniscono all’organizzazione terroristica Daesh. Da qui ha inizio una irrimediabile discesa negli inferi per l’intero nucleo famigliare.
Quattro Figlie – Trama e cast
È una vita che oscilla tra luci e ombre, quella di Olfa, donna tunisina e madre di quattro figlie, un’esistenza spesso ribelle, ma inesorabilmente schiacciata dal peso della tradizione e della società. Un giorno, le sue due figlie maggiori spariscono. Per riempire quell’incomprensibile vuoto, la regista Kaouther Ben Hania invita due attrici professioniste a prendere il loro posto al fianco della donna e delle due figlie minori, per ripercorrere e mettere in scena – tra realtà e finzione – la storia della famiglia. Ne scaturisce un viaggio intimo e profondo pieno di speranza e sorpresa, un’opera emozionante e catartica, tragica ma anche inaspettatamente divertente, candidata all’Oscar 2024 per il Miglior documentario.
Per sollevare il velo su questa storia, Kaouther Ben Hania ha chiamato le attrici professioniste Nour Karoui e Ichraq Matar a prendere il posto delle figlie scomparse di Olfa e mettere in scena i momenti che hanno segnato la storia della famiglia recitando al fianco delle due figlie superstiti e di Olfa stessa – sostituita nei passaggi più drammaticamente intensi dalla star Hend Sabri, attrice e produttrice di successo tra le più importanti del mondo arabo. Il risultato è uno straordinario meccanismo cinematografico che mescola costantemente documentario e finzione, capace di raccontare un viaggio intimo di speranza, ribellione, violenza, trasmissione e sorellanza che rimette in discussione le fondamenta stesse delle nostre società.
Quattro Figlie – Trailer ufficiale italiano
Kaouther Ben Hania – Note biografiche
Hania ha studiato Cinema a Tunisi e Parigi (La Fémis e la Sorbona). Ha diretto vari cortometraggi, tra cui Sheik’s Watermelons (2018) e Wooden Hand (2013), selezionati a diversi festival internazionali e vincitori di numerosi premi.
Le Challat de Tunis, il suo primo lungometraggio, ha aperto la sezione ACID al Festival di Cannes del 2014 e ha raggiunto il successo internazionale sia nel circuito dei festival che al cinema, poiché è stato distribuito in oltre 15 nazioni. Poi ha diretto Zaineb Hates the Snow, un documentario filmato durante 6 anni tra la Tunisia e il Canada, presentato nel 2016 nella selezione ufficiale del Locarno Film Festival dello stesso anno.
La bella e le bestie è stato selezionato al Festival di Cannes del 2017 nella sezione “Un Certain Regard”, in cui ha vinto il premio al miglior suono e da cui ha spiccato il volo seguendo una prestigiosa traiettoria internazionale. Il suo ultimo film, L’uomo che vendette la sua pelle, con Monica Bellucci, è stato presentato al festival di Venezia ed è stato candidato all’Oscar al miglior film in lingua straniera nel 2021.
Kaouther Ben Hania, che sperimenta continuamente con i suoi documentari e con i suoi film, fa il suo debutto nella selezione ufficiale del Festival di Cannes 2023 con “Quattro Figlie”, un film docu-drama.
Intervista alla regista
Dopo La bella e le bestie e L’uomo che vendette la sua pelle volevi tornare al formato del documentario con cui ti sei fatta conoscere?
Il progetto è partito molto prima. Ho cominciato a lavorarci nel 2016, mentre stavo finendo Zaineb Hates the Snow, un documentario sulla vita di un’adolescente a cui ho dedicato sei anni della mia vita. A un programma radiofonico, ho sentito Olfa parlare della tragedia delle sue figlie. La sua storia mi ha intrigata e commossa. Anche in questo caso, si trattava della storia di una madre e delle sue quattro figlie adolescenti. Olfa mi ha affascinata fin da subito, in lei ho visto un personaggio potente per un film. Era l’incarnazione di una madre con tutte le sue contraddizioni, le sue ambiguità, i suoi punti problematici. La sua storia complessa e terribile mi ha perseguitata e ho voluto esplorarla, capirla, senza sapere come avrei fatto. Quindi ho chiamato il giornalista radiofonico e lui mi ha dato il numero di telefono di Olfa per poterla incontrare. È iniziato tutto così.
La storia di Olfa è conosciuta in Tunisia?
Quando l’ho contattata era già andata in televisione e in radio diverse volte, ma all’epoca queste storie erano all’ordine del giorno. Ciò che mi ha colpito di Olfa è che la sua storia riguardava le donne, era quella di una madre e delle sue figlie.
Sapevi che sarebbe diventato un film di fantasia?
Ci sono stati diversi stadi. All’inizio mi ero detta che l’avrei filmata insieme alle due figlie rimaste, Eya e Tayssir, per esprimere l’assenza delle altre due. Ho iniziato le riprese nel 2016 e di nuovo nel 2017. Ma qualcosa non mi convinceva. Come si può ravvivare un ricordo senza abbellirlo o cambiarlo, senza fare buonismi, senza edulcorare la realtà? Come si può catturare ciò che ha avuto luogo ma che non c’è più? Come si può affrontare la verità del proprio passato anni più tardi? Ma l’aspetto più problematico per me era il ruolo di Olfa. Non appena accendevo la telecamera, cominciava la recita di una parte specifica. Ho dovuto interrompere le riprese perché mi sono resa conto che sarei caduta nella trappola che lei mi stava tendendo.
È a questo punto che hai deciso di chiamare Hend Sabri per mettere Olfa davanti al suo doppio cinematografico?
Quando ho capito che ciò che avevo filmato non era interessante, mi sono concentrata su L’uomo che vendette la sua pelle. Durante le riprese ho lasciato la storia di Olfa in secondo piano, non sapendo se ci sarei tornata o meno. Ma, dal momento che mi piace finire ciò che inizio, l’ho ripresa in mano e a quel punto avevo le idee molto più chiare. Volevo filmare Eya e Tayssir, che avevo avuto modo di conoscere durante le riprese, ma dato che eravamo nel pieno del lockdown, ho capito che il miglior modo per riportare Olfa alla realtà e ai suoi ricordi era realizzare un documentario sulla preparazione di un film che non avrebbe mai visto la luce. In base a tutto ciò che Olfa mi aveva detto, ho abbozzato un copione con Eya e Tayssir che parlava della preparazione di un film in cui gli attori avrebbero incontrato i veri protagonisti della storia per esprimere al meglio ciò che avevano vissuto.
Cosa volevi ottenere con questo processo?
Olfa doveva essere messa di fronte a degli attori professionisti, “D’ora in poi, saranno loro a recitare, non tu”. Avrebbero aperto gli occhi a lei e alle sue figlie aiutandole a trovare la loro verità interiore. Mi servivano delle attrici per interpretare le due figlie scomparse e un attore che facesse delle domande a Olfa per aiutarla a capire alcuni eventi fondamentali della sua vita. Non ero interessata alla ricostruzione dei ricordi, ma allo scambio tra Olfa e le sue figlie che avrebbe portato a questo. Il mio ruolo nel film è stato quello di regista, di guida. Ho esplorato la storia insieme a loro, mentre Olfa raccontava e analizzava nel dettaglio episodi significativi della sua vita. Ponendo le domande su dei dettagli specifici e sulle sue motivazioni, Hend Sabri ha permesso a Olfa di riflettere sul suo passato senza darle troppa corda. Se Olfa fosse rimasta sola con me, mi avrebbe propinato nuovamente la stessa storia, lo stesso cliché.
Hend Sabri è una star. Olfa non aveva paura che potesse rubarle la scena?
Al contrario. Ha pensato che finalmente la gente le avrebbe creduto! Olfa credeva che nessuno le avesse mai creduto perché non era famosa. Finalmente questa grande attrice le avrebbe dato la credibilità necessaria a far sentire la propria storia. Quanto ha iniziato a rilasciare interviste nel 2016, Olfa è stata spesso diffamata, criticata e insultata. Grazie a Hend Sabri, l’avrebbero ascoltata e rispettata. Quando l’ho capito, ho voluto anche provare altri approcci durante le riprese.
La dualità di Olfa e Hend Sabri finisce per farci dubitare della realtà di ciò che stiamo guardando. Creare questo senso di confusione era il tuo intento?
Non sei la prima persona che me lo chiede. Non posso rinnegare il mio passato di regista di mockumentary. Kiarostami ha detto che non importa sapere cosa è vero e cosa è falso. Nei film possiamo mentire, se riusciamo a estrarre una verità profonda, è questo che conta. Per me la cosa più importante è commuovere il pubblico svelandogli una verità più profonda.
È impossibile non pensare a Close Up di Abbas Kiarostami. Ci hai pensato anche tu durante la stesura della sceneggiatura per il tuo film?
Sono due i film che hanno cambiato il mio rapporto con il cinema: Close Up e F come falso di Orson Welles. Grazie a questi due lungometraggi, ho capito che il cinema permette sperimentazioni più ampie. Volevo che il mio film avesse un elemento brechtiano, che si potesse recitare una scena ma, al tempo stesso, anche riflettere su di essa. Volevo poter passare da momenti di recitazione vera a riflessioni su ciò che veniva recitato. Il confine tra queste due realtà doveva confondersi perché passiamo la vita a recitare e, semplicemente, lo facciamo ancora di più se messi davanti a una telecamera. Sin dai primi giorni mi sono divertita a esplorare il confine sottile tra finzione e documentario. Questo accomuna tutti i miei film.
Perché hai deciso di girare in un’unica location?
L’universo di questo film è introspettivo, quindi non mi servivano set elaborati. Mi serviva coerenza visiva e stilistica. Abbiamo trovato un vecchio hotel economico a Tunisi e l’abbiamo trasformato in uno studio cinematografico. Sapevo che il pubblico sarebbe stato in grado di connettere tra di loro i diversi elementi senza che dovessimo ricreare noi tutto. Avevo in mente il set tracciato con il gesso di Dogville di Lars von Trier, un film che mi ha affascinata molto. Mi serviva semplicemente un set grande che mi permettesse di installare uno sfondo, come quello della stazione di polizia. Sapendo che avremmo esplorato insieme temi intimi, sensibili e dolorosi, non volevo essere limitata come lo sarei stata durante delle riprese classiche. Volevo tornare all’essenziale.
Qual è esattamente la maledizione tramandata da madre a figlie?
È una forma retrograda di patriarcato che le donne hanno assimilato al fine di sopravvivere. Non hanno scelta. Olfa non rispetterà gli uomini, ma assume comunque una delle forme del patriarcato. Quando una ragazza ha umili origini come lei, non ha tanta scelta: o diventa una prostituta o la più santa delle sante. Non c’è spazio per le sfumature. Essendo le sue figlie bellissime – questa è la seconda maledizione – scelgono la santità. Anzi, si spingono oltre e desiderano la morte!